Economia solidale e autodeterminazione dei popoli (e delle popolazioni)

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Da diversi anni, in primavera, l’associazione L’Ortazzo di Caldonazzo organizza serate informative e formative su diversi temi legati all’ecologia, all’economia e all’autoproduzione. Quest’anno abbiamo aperto il calendario con un appuntamento dedicato alle monete locali e all’economia solidale.

Le due cose non sono affatto slegate poiché una moneta parte dal principio di fiducia reciproca e di comunità. Fatto che con le monete nazionali e sovranazionali si è in gran parte perduto, insieme al senso della misura. La moneta dovrebbe essere un mezzo per consentire alle persone di scambiarsi beni in modo più semplice, oggi invece è diventata un’obiettivo di esistenza: accumulare sempre  più soldi, produrre denaro con il denaro, speculare sui beni (per esempio i derivati sul cibo che distorcono mostruosamente il suo valore togliendone l’accesso ai meno abbienti nel mondo) per diventare più ricchi.

La serata, con le testimonianze dei promotori di due esperienze in Val di Non e in Val di Susa, ci ha fatto comprendere che si possono ipotizzare strade diverse, sebbene impervie e piene di rischi di fallimento, per riportare le persone che compongono una comunità ad essere i soggetti e non i mezzi dell’economia.

Opporsi, almeno concettualmente e nelle scelte quotidiane, al pensiero dominante dell’economia significa anche, come comunità, opporsi a quelle imposizioni dall’alto che rischiano di distruggere un patrimonio collettivo unico e irreparabile come l’ambiente. Penso alla disastrosa idea di portare un’autostrada in Valsugana, facendola passare in un territorio dedito a turismo e agricoltura, senza nessun confronto con la cittadinanza. Prima ancora che il diritto al NIMBY (Not In My Back Yard – non nel mio giardino, comunemente intesa come manifestazione di opportunismo ed egoismo in realtà il sacrosanto diritto di tutelare i propri interessi bene intesi, come a dire non posso impedirti di fumare venti sigarette ma posso vietarti di farlo in casa mia), urge una riflessione sulla visione collettiva e strategica del futuro del nostro territorio. Che cosa vogliamo per noi e per chi verrà dopo di noi? E’ davvero necessario puntare tutto sulla velocità, basare la nostra felicità individuale e collettiva sul consumo di merci che viaggiano per migliaia di chilometri inquinando e magari sfruttando terre e popoli lontani? Oppure possiamo immaginare, insieme, un futuro in cui ogni comunità riesca a produrre più o meno quello che gli occorre per una vita magari frugale ma non per questo meno abbondante nel ben vivere?

E allora opporsi alla Valdastico, opporsi all’impoverimento della natura, opporsi all’economia turbo-capitalista e della finanza casinò, opporsi al TTIP (il trattato di libero scambio tra EU e USA con il danno mortale che questo trattato arrecherebbe alla democrazia e alla libertà impedendo a comuni, regioni e persino nazioni di imporre leggi in qualche modo restrittive o lesive degli interessi delle multinazionali le quali potrebbero portare lo Stato a giudizio non davanti ad un tribunale ma ad arbitri privati -pagati dalle parti- per farsi riconoscere ingenti rimborsi) diventa un dovere e non una possibilità, un dovere verso quelle future generazioni da cui abbiamo avuto in prestito la terra che abitiamo.